La gelida inquietudine di sculture/robot semoventi e minacciose: Sun Yuan e Peng Yu

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articolo di Marina Guarneri

I can’t help Myself e Dear– 58° Biennale d’arte contemporanea Venezia

Una ai Giardini e l’altra all’Arsenale le due opere degli artisti concettuali cinesi Sun Yuan e Peng Yu suscitano sconcerto, meraviglia, tensione, senso di minaccia, evocano metafore di uno sguardo sul vivere contemporaneo feroce e ironico insieme.

Forse più precisamente attanagliano con angoscia, un’ angoscia profonda che viene da lontano data dallo smarrimento interiore che scava nella miscela esplosiva di paure ancestrali in chi osserva attonito e poi passa accanto alle teche trasparenti in cui sono rinchiuse. Visibili ma inavvicinabili, pericolose.

Indubbiamente entrambe le sculture/installazioni evidenziano possibili, estenuanti e forse inutili ricerche di senso che appaiono tutte coagulate contemporaneamente nella gelida, canzonatoria rappresentazione che abbiamo davanti agli occhi. 

Una sorta di multitasking di significati possibili attribuibili d’impatto che si sfilacciano e ricompongono nell’ironia acida del movimento, quasi un sottotesto necessario alla visione implacabile e violenta.

Come un pannello di multistrato, come un compensato del pensiero.

Sono corsa a cercare le immagini dei lavori precedenti di questa coppia di artisti, diplomati nel 1994 e 1995 alla Central Academy of Fine Arts di Pechino. Anni fa ho visitato la prestigiosa Accademia, e ho dormito una notte nella foresteria messa a disposizione dei visitatori stranieri. Sposati dal 2000 vivono e lavorano a Pechino. Sono corsa a cercarli per ricordarmi che già li conoscevo dall’opera Old People’s Home del 2007, i tredici vecchietti dell’ospizio sulla giostra dell’autoscontro che seduti sulle loro sedie a rotelle si scontrano lenti dentro un moto continuo e perpetuo. 

Can’t Help Myself (2016) presentata in questa Biennale di Venezia al centro della prima sala espositiva dei Giardini è un Robot industriale di acciaio inox e gomma, etere di cellulosa in acqua colorata rossa, una griglia luminosa con sensori di riconoscimento visivo. Le pareti del box che lo imprigionano sono in acrilico trasparente con cornice in alluminio.

Alla macchina, con l’utilizzo di speciali software, sono stati “insegnati” ben trentadue movimenti diversi, quali passi di danza, strette di mano, il gesto del grattarsi, il dimenamento del fondo schiena. Nella scultura un grande braccio robotico, come quelli utilizzati nelle catene di montaggio industriali, assume il compito di ripulire e ridurre il dilagare di un liquido rosso, molto vischioso, simil sangue. Lo fa con poca precisione in modo sgraziato, mandando schizzi ovunque sulla teca di plexiglass, tra un tentativo di  pulizia e l’altro, esegue i movimenti che ha appreso. Movimenti calcolati e movimenti fuori controllo. Chi guarda, attanagliato dal movimento imprevedibile del braccio meccanico, attraversa con lo sguardo la trasparenza acrilica continuamente sporcata di rosso e non può far altro che sentirsi pervaso da un senso di apprensione e turbamento, quasi temesse per la propria incolumità.

Come sostengono i due artisti cinesi in un’interessante intervista:

“L’idea nasce da una forma di disturbo ossessivo compulsivo: quando un bicchiere d’acqua viene rovesciato sul tavolo e l’acqua si diffonde, le persone  usano inconsciamente le mani per bloccare il flusso d’acqua, per impedire che l’acqua goccioli a terra o più in là sul tavolo. Il senso di controllo è un istinto umano. Viviamo tutti in un sistema, controllati dal sistema, e cerchiamo di controllare più cose nel sistema. L’incarnazione del potere di una persona risiede in quanto controlla il mondo. Più si ha il controllo e più si ha il potere. Questa regola non cambierà mai, dai tempi antichi fino al futuro. Nel frattempo, il libero arbitrio di un uomo è come il flusso dell’acqua, sempre cercando di liberarsi del controllo. Questa è una contraddizione, che ci intriga. È inspiegabile che anche in futuro, quando l’uomo avrà più libertà, allo stesso tempo sarà governato ugualmente, e in forma forse diversa da come accade oggi, da un sistema più potente. In un certo senso, non saremmo in grado di ottenere più libertà senza una regola più potente.  

Questa regola non cambierà mai, dai tempi antichi fino al futuro. Nel frattempo, il libero arbitrio di un uomo è come il flusso dell’acqua, sempre cercando di liberarsi del controllo. Questa è una contraddizione, che ci intriga. È inspiegabile che anche in futuro, quando l’uomo avrà più libertà, allo stesso tempo sarà governato ugualmente, e in forma forse diversa da come accade oggi, da un sistema più potente. In un certo senso, non saremmo in grado di ottenere più libertà senza una regola più potente. 

Per quanto riguarda le minacce che potrebbero venire dal futuro, pensiamo che giungeranno sempre dall’uomo, non dalle macchine. Le macchine non hanno il libero arbitrio. Semplicemente eseguono il libero arbitrio umano in modo accurato. Alla fine della giornata, non importa quanto potenti siano le macchine che vediamo, ciò che vediamo è ancora il potere dell’umano, e l’assurdità dell’umano.

foto di A.Balletti

Sempre all’Arsenale è allestita l’altra scultura intitolata “Dear”. Una vuota poltrona/trono di silicio bianco (ispirata liberamente a quella del Lincoln Memorial di Washington) anch’essa collocata dentro una teca di plexiglass, con un tubo di gomma che in momenti diversificati inizia a sbuffare aria compressa, altamente pressurizzata che fa muovere il tubo all’impazzata di qua e di là, provocando danni sia alla teca che al trono bianco. Poi si cheta e pare di nuovo invitante. Solo un attimo di sosta e ripartono gli attacchi. La riflessione qui sembra porsi sulle discrasie tra potere e gestione democratica dello stesso, ma l’approccio concettuale di questa coppia di singolari artisti cinesi riesce a produrre e riprodurre continui cortocircuiti di senso.