CAROL RAMA: EROTICA, ERETICA, FEDELE A SE STESSA

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Carol Rama si è spenta il 25 settembre.

Spiazzamento. La notizia è arrivata come una bomba, inaspettata e fortissima.
Rancore. Personalmente viene a mancare un punto di riferimento decisivo perché ha saputo rafforzare il mio percorso artistico; Carol Rama e l’opera sua intera hanno contribuito a stimolare e a far affiorare la mia visione del fare arte e hanno fatto sì che potessi affrontare anche posizioni scomode o inconsuete, senza indugiare troppo per eventuali turbamenti altrui.
Una vita vissuta senza conformismi, senza troppi giri di parole e smancerie, una figura che si è posta fin da subito fuori dagli schemi, pena l’emarginazione e l’esclusione da certi meccanismi artistici.
Artista di pancia, autodidatta e avanguardistica, tutta la sua opera è stata caldamente autobiografica. Trasgressiva, sempre legata e fedele alle tematiche della corporeità caduca, della sessualità prorompente e dell’ironicità violenta. Indissolubile da Torino e dalla sua casa in via Napione – un po’ studio e un po’ atelier – che piano a piano si fa sempre più colma di ricordi e monili e che prende le sembianze di un museo sentitamente personale.
Poliedrica, disegnatrice, pittrice, incisore. Difficile tentare di schedare la sua arte, c’è chi la definisce espressionista, chi oscillante “tra un raffinato brut e un colto naif” come disse Edoardo Sanguineti, e ancora formale e informale, figurativa ma anche materica e astratta, certamente di una classicità avanguardistica. Inconsueta sensibilità femminile, molto schietta, violenta, a tratti brutale. Anche se non ha mai coinvolto il suo corpo in prima persona tramite azioni e performance si è ugualmente messa in scena raccontato a suo modo qualcosa di sé, del suo vivere e delle sue esperienze di vita; ha usato una trasposizione della Body Art tramutandola in precisa chiave segnica: supporto come pelle.
Olga Carolina Rama nacque a Torino il 17 aprile del 1918 da Amabile Rama e Marta Pugliaro, ultima di tre figli (Adolfo ed Emma).
Il padre era un piccolo industriale e possedeva un’autofficina. Copertoni. Condusse una vita benestante, serena e agiata sino al 1927, momento in cui divampò la crisi industriale e la famiglia si ritrovò in gravi ristrettezze economiche. La madre allora si fece carico del nucleo familiare e aprì un atelier di cappellini e stole di pelliccia. Occhi finti.
Era appena dodicenne quando Marta venne ricoverata in manicomio, forse per un esaurimento; iniziarono a fissarsi nella sua mente immagini nitide relative alle visite fatte in ospedale, come le corsie, le grida dei pazienti e le camicie di forza da loro indossati. Ed era sempre troppo giovane quando perse il padre; da tempo sentiva che non era più lo stesso e nel 1942 Amabile si suicidò con un taglio alla gola. Presagi. Due tristi eventi che segnarono per sempre l’animo di Carolina.
Iniziò a produrre fin da piccola acquerelli e disegni a pastello ma già da allora i suoi soggetti non erano quelli tipici infantili, ingenui ed immacolati ma anzi, terribilmente maturi e pregni di
significato; Carol descriveva il quotidiano che la circondava: sanguisughe, dentiere, protesi, forme di scarpe, carrozzelle, rasoi, unghie… Ogni soggetto ritratto era ben impresso nella sua mente e innalzato a trofeo decadente.
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Nonna Carolina, 1936
Nel 1945 avvenne il suo originale debutto esponendo in una galleria di corso Palestro ma l’esposizione venne fatta subito chiudere per oscenità: il pubblico torinese, allora un po’ troppo perbenista e puritano, non era ancora abituato a certi “scenari”. In seguito, grazie al pittore Felice Casorati nel 1947 partecipò ad una collettiva presso la libreria del Bosco, e in tale occasione giunsero plausi per le sue opere. Casorati riconobbe fin da subito il suo talento e unicità e si mostrerà difensore e confidente di una vita intera.
Nel 1948 aderì al gruppo MAC, il Movimento Arte Concreta nato a Milano, fondato da Gillo Dorfles, Bruno Munari, Atanasio Soldati e Gianni Monnet, che durerà sino al 1958. Tale corrente seguiva l’arte informale, astratta, geometrica e aveva toccato città come Torino, Genova, Firenze; al suo interno coesistevano artisti, architetti, grafici.
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Bolle di vetro, 1939
Anche se membra di un gruppo che seguiva uno stile preciso, l’opera di Carol ha saputo ben distinguersi.
Sempre negli anni Quaranta incontrò un’altra preziosa personalità, il poeta e scrittore Edoardo Sanguineti, con il quale instaurerà un legame forte e duraturo. In questi anni si avvicinò alle tecniche dell’incisione, che riprenderà con maggiore stimolo negli anni Novanta.
Nel 1952 ebbe l’opportunità di conoscere il maestro Picasso grazie al critico Luciano Anselmino; si rivelerà un piacevole incontro grazie al quale troverà spunti per dei lavori successivi. Lungo il corso degli anni iniziò ad inserire nella propria opera l’oggetto vero, nudo e crudo, dando il via alla serie dei Bricolage, così denominata da Sanguineti.
Importantissimo il suo viaggio a New York nel 1970 nel quale incontrò Andy Wharol, Man Ray e Orson Welles. Negli stessi anni utilizzò le camere d’aria e le gomme, trattati come brandelli di carne che inevitabilmente rimandano al padre.
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Presagi di Birnam, 1970
Dagli anni Cinquanta in poi le mostre si fecero sempre più frequenti fino a giungere nel 1993, anno in cui la 45° Biennale d’Arte le riservò una sala tutta per sé, l’esposizione sarà curata da Achille Bonito Oliva e allestita da Corrado Levi; tale anno coincise anche con lo scandalo della mucca pazza e Carol si appassionò fin da subito a questa tematica. Mammelle e dentature.
Alla fine degli anni Novanta espose ad Amsterdam presso lo Stedelijk Museum: un avvenimento estremamente importante perché risultò essere il primo vero riconoscimento a livello internazionale. Arriviamo nell’attuale secolo, negli anni Zero finalmente giungono numerosi elogi alla sua produzione artistica, primo fra tutti il Leone d’Oro alla carriera alla 50° Biennale d’Arte di Venezia. In seguito espone in grandi antologiche, da ricordare quella a Palazzo Ducale a Genova e quella presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, che toccherà successivamente il Mart di Rovereto e il Baltic Museum di Gateshead (GB).
Nel 2010 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano le assegna il Premio Presidente delle Repubblica.
In ultimo, espone ad una personale nel 2014 al MACBA di Barcellona, che farà in seguito tappa a Parigi presso il MAM e poi a Dublino.
Non ha mai negato di essere stata accantonata per troppo tempo dai meccanismi artistici, i meritati e sofferti riconoscimenti son giunti oltremodo tardi, lei stessa ha affermato “Sono troppo incazzata perché sono stata “scoperta” a 80 anni”.
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Scarpa, 2003
Mutazioni, feticismo, screpolature, difetti, dolore, amputazioni, protesi, tabù, decadenza, erotismo, pazzia, fallimento, morte, solitudine.
Anti-accademica, marginale, alla deriva del (suo) corpo. Opere dalle umide sensazioni e dai sentimenti appiccicosi. L’esistenza di questa artista, vissuta sempre nella penombra, è stata accompagnata dalla tragedia e dalla disgrazia fin dalla tenera età ma ha saputo cogliere in esse la sfida alla vita, tramutando la bruttezza dell’esistenza umana in forza personale, grazie al filtro artistico che ha reso tutto più digeribile.
Anomala presenza nel mondo dell’arte. La sua casa-rifugio in via Napione e Torino si privano di una donna eccezionale, una super donna. Erotica, eretica, fedele a se stessa, tutta la sua vita è stata epica. Mancherai, anzi, già – mi – manchi.
Alice Biondin
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Frange nere, 1975