Conversando con Gianluca D'Incà Levis di Dolomiti Contemporanee sulla terrazza del Villagio Eni di Borca, il luogo dove non si chiudono i lavori, si aprono processualità

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Siamo stati a Borca per una visita guidata alla Colonia Eni e per un incontro con Gianluca D’Incà Levis, ideatore e responsabile del Progettoborca e Direttore di Dolomiti Contemporanee. Abbiamo avuto l’opportunità di ragionare con lui delle tematiche del Progettoborca, e, più in generale, sugli snodi critici e criticabili dell’arte contemporanea oggi in Italia. Un vero privilegio che si è consumato sul balcone in legno degli Uffici della ex portineria del villaggio, avvolti da una deliziosa brezza montana. In questi uffici da due anni Gianluca D’Incà Levis riflette, agisce e produce eruzioni continue di senso, si muove come un camoscio sui seracchi nelle relazioni con gli artisti in residenza, riceve giornalisti e partner, coordina i suoi attivissimi e motivati volontari, introduce personalmente le visite, con una comunicazione efficace e diretta sostenuta da un eloquio preciso, lucido e culturalmente intransigente. Il villaggio l’abbiamo appena visitato, fotografato, ascoltato. E’ più di ciò che si possa immaginare.

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Qualche spunto dei pensieri rigenerati dalla conversazione.

Gianluca D’Incà Levis ci inizia accortamente alla comprensione del progetto svelando un enigma sul nome della nuova rivista La Testata: ci mostra l’immagine di un piccolo di cervo sullo schermo del suo mac, è Cristopher, che sta allevando da cinquantadue giorni dopo averlo trovato abbandonato. Ci racconta che in quel periodo stava cercando il titolo per la rivista. “Cristopher se la mattina non gli do’ subito il bibo mi propina una testata, perché chiede il latte. Anch’io piglio testate quando serve”. Ecco il titolo.

Gianluca D’Incà Levis ci mostra una tazzina da caffè appoggiata sulla sua scrivania con il logo del cane a sei zampe: qui al villaggio è tutto “griffato”, naturalmente anni 50/60. Le posate della Krupp pensate e prodotte appositamente per Enrico Mattei, le stoviglie Richard Ginori, i pavimenti in gomma disegnati da Pirelli, le eleganti lampade della Flos ancora in sito, apprezzatissime da tutti durante la nostra visita e le sedie prodotte da Fantoni, ora accatastate in un ambiente chiuso per non divenire oggetto di impropri desideri. Persino le coperte con il cane a sei zampe sono marchiate Lanerossi, brand acquisito dal gruppo Marzotto. Sul video del mac ci mostra ancora alcune coperte, interni di seta, ripensate in forma di raffinato abbigliamento vintage da due artisti. Saranno presentate il 13 agosto a Forni di Sopra (UD). La prospettiva è di rimetterle in produzione coinvolgendo aziende importanti del settore. D’Incà Levis definisce questa operazione la “rigenerazione del brand”, tramite l’intervento di artisti. E cita Pierluigi Sacco come uno degli esperti in economia dell’arte che propugna operazioni di questo tipo: il concetto che l’arte e la cultura possano entrare a pieno titolo nell’economia tramite la sollecitazione di Aziende interessate, che “intuiscono” il portato di queste trasformazioni, o per meglio dire “rigenerazioni”. In merito a queste riflessioni, cita una delle iniziative che si terranno al villaggio nel prossimo autunno. Un contest di boulder arrampicherà le architetture della colonia.“Si arrampica Gellner”. Circa trecento giovani atleti di boulder, una disciplina di ascensione senza corda e senza sicura (come fanno gli street boulder nei centri storici delle città) saranno ospitati qui al villaggio contribuendo alla trasformazione in atto, al cantiere provvisorio e permanente insieme che sta rigenerando il sito abbandonato a luogo vivo. D’Incà Levis sottolinea che la scelta dell’arrampicata, oltre ad essere una pratica e una passione personale, non è fortuita in quanto rappresenta uno degli elementi forti e permanenti della cultura identitaria di queste montagne. Arrampicare su una sorta di monumento dell’architettura firmato Gellner è rigenerare, diversamente dal pellegrinaggio ossequioso di quegli architetti che da anni si spingono fin quassù a contemplare e fare fotografie. Gianluca D’Incà Levis (a sua volta architetto!) la definisce precisamente una sorta di “genuflessione contemplativa. Ora, vogliamo metterci le mani su questo monumento”. E’ incalzante, densissima e piacevole la conversazione. Gianluca D’Incà Levis, intelligente e pungente nello stesso tempo, apre continuamente nuovi orizzonti di senso, interrogazioni, rilanci di pensiero e appunto provocazioni. E a questo riguardo anche l’uso delle immagini fantascientifiche nelle grafica dei manifesti è un’ulteriore chiave di lettura del Progettoborca: un lavoro sull’alienità della fantescienza culturale, ribatezzata terraformazione. Gianluca D’Incà Levis non la chiama fantascienza, ma fantescienza per differenza dalla categoria della letteratura e del cinema. Viene usata la figura del cosmonauta perchè è identica a quella di un artista: entrambi sono esploratori di spazi.

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Riprendiamo con le riflessioni a caldo sul percorso della visita. Ci preme parlare degli incontri quelli con gli artisti in residenza e dei loro lavori, perchè Venezia Art Magazine, è una webzine in cui gli artisti scrivono di artisti!

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Percorrendo le stanze della colonia abbiamo visto alcuni lavori in allestimento permanente, oltre che armadi, strumentazioni e dispositivi ancora funzionanti, a segnare e storicizzare le stratificazioni del tempo e dello spazio e dell’abbandono. I disegni sul pavimento di Elisa Bertaglia, centinaia di piccole bambine-vipera, carboncino e grafite. Come un’eco della moltitudine di bambini che ha percorso in quegli anni i chilometri di corridoi, calpestato gli stessi pavimenti. Gianluca D’Incà Levis ci racconta che Elisa è stata qui due settimane, lo scorso agosto, a disegnare questi piccoli soggetti per dieci giorni, per dodici ore al giorno, da sola al freddo. Era agosto, ma con zero gradi, sette felpe addosso, inginocchiata su pavimento. Trascorsi quei giorni in questa forma di ascetismo artistico, Elisa era un’altra. Questa azione è stata totalmente performativa, non pittorica. Queste figure, mimetiche, non immediatamente visibili sul pavimento ricoperto da una patina di polvere, bisogna cercarle per vederle. Elisa non le ha fissate, per cui più gente arriverà qui, più verranno calpestate, più il suo lavoro, già evanescente, scomparirà. Quando succederà significherà che il risultato è stato raggiunto: migliaia di persone lo avranno percorso.

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Negli appartamenti delle monache, poco oltre la chiesa interna della colonia, abbiamo incontrato Marta Allegri davanti ad una meravigliosa stufa di maiolica gialla. Stava tritando cocciopesto rosso dentro una macchina-dispositivo recuperata dalle cucine e rietichettata La Certosa. L’artista ci spiega che il riferimento è alla concessione a una ditta di tritare tutti gli antichi mattoni della Isola della Certosa, nella colpevole e ignorante dispersione del senso troppo spesso subita dagli oggetti edili storici. Alle pareti i suoi centrini di rete sono appesi incastonati di vetri rotti come gioielli nella maglia esagonale del suo tributo a Gellner. Un lavoro perfettamente aderente al concept di rigenerazione del Progettoborca. Con questo suo intervento Marta Allegri rioccupa lo spazio con una sensibilità estremamente interessante, ponendosi all’interno degli unici appartamenti privati dentro a questa enorme comunità oggi silente. A settembre tornerà a Borca con alcuni studenti dell’Accademia di Venezia e con il collega Riccardo Caldura che terrà proprio qui un talk.

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Ci soffermiamo da lei più del previsto e perdiamo il gruppo della visita guidata nei corridoi dalle feritoie asimmetriche e dai loro fasci di luce. Ci recupera inaspettatamente un vispo ragazzino che scopriamo poi essere il figlio di un altro artista di Roma in residenza al village con tutta la famiglia: Simone Cametti

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Ci rechiamo subito a incontrarlo negli uffici della ex-direzione della colonia. Qui l’artista sta riallestendo una intera casa con i materiali e i mobili che recupera dai vari reparti della colonia. Parliamo con lui nel suo nuovo salotto dove si faranno i talk, gli incontri previsti seduti sul divano recuperato. Quello spazio-casa quindi non sarà solo l’alveo domestico in Dolomiti di una giovane famiglia: è uno spazio che si sta terraformando, per usare un termine del Progettoborca. Chiediamo a Simone Cametti qualche pensiero sul suo lavoro e ci racconta che a Borca ci si potrebbe aspettare di vederlo portare avanti un progetto a cui lavora da due anni: salire sulle cime e piantare su ciascuna la bandiera italiana. Siamo davanti a una di queste foto di “conquista”, come definisce lui queste perfomance.

Tutto nasce da un ritrovamento di una fotografia che Achille Compagnoni regalò a suo nonno: ritraeva il famoso alpinista, il primo italiano a conquistare il k2, la seconda vetta più alta al mondo. Suo nonno, ci dice, lavorava in Rai, e gli aveva fatto incontrare Compagnoni quando era piccolo. “Così, quando ho rivisto questa foto, ho voluto tirare fuori da lì qualcosa. Ora le operazioni di conquista sono fatte per me, conquiste umane. Per adesso ho concluso in Appennino quattordici scalate e quest’anno inizierò le Alpi. Riporterò il simbolo della bandiera anche se in queste ultime decadi non è molto compreso”. Simone precisa che, oltre ad essere una critica all’inspiegabile timore della gente dinanzi a quei tre colori, è l’azione di un uomo che pianta una bandiera non perché nazionalista, ma semplicemente perché italiano. Un italiano dinanzi al processo umano della conquista. Gli interessa cercare nel passato. Scavare nella storia dell’uomo e nella sua, per verificare se e cosa poter ancora raccontare. Questi tre colori con l’azzurro e il bianco del cielo e della neve, che rende la serie di foto similari è di grande impatto.

Ma questa residenza d’artista non sarà il campo base per le prossime vette: come in altre occasioni di residenze Simone ha sviluppato progetti nuovi, ribaltando le prospettive: “Voglio creare una situazione assieme alla mia compagna e i nostri due bambini legata al venire in colonia. Per esempio rivivendo con scatti fotografici momenti quotidiani dei bambini: Mattia in bicicletta, Leonardo che piange. Da questo l’idea di ricreare con il materiale che trovo in questo spazio immenso una casa per la mia famiglia. Interagire con l’ambiente attorno”.

Alberto Balletti e Marina Guarneri
 
foto dell’artista Marta Allegri in residenza al Progettoborca
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foto dell’artista Simone Cametti in residenza al Progettoborca
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