PROGETTOBORCA: un'utopia concreta e ostinata di Gianluca D'Incà Levis ad alto coefficente di coinvolgimento

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Nel sistema espositivo museale italiano lo spazio aperto all’arte contemporanea scarseggia o si sottomette facilmente a dinamiche che non lo riscattano dalla moderna concezione del recipiente. Nel belpaese sono ancora poche le iniziative capaci di sbordare il millennio, dopo l’osmosi spesso tossica degli anni dieci. Necessitiamo di tornare a credere a un cambiamento radicale, di reazione aperta, di centratura sul ruolo di contaminazione umana svolto unicamente dall’artista in contesti di problematicità multistrato. Di questa chiarezza gli artisti necessitano per ritrovare la serenità nel proporre le loro azioni/idee. Resistere in aggetto esplorativo necessita di basi in cui scambiare il proprio materiale operativo. Sbarchiamo all’Ex Villaggio Eni di Borca nella base spaziale borca, dove da pochi giorni è stato lanciato il processo di terraformazione culturale denominato Progettoborca.

Cosa si visita al Ex Villaggio Eni di Borca proveremo a raccontarlo in questa presentazione/suggestione affidandoci alla voce stessa del curatore del progetto e alle immagini del sito.

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La visita inizia con una graffiante introduzione del direttore di Dolomiti Contemporanee Gianluca D’Incà Levis ideatore e responsabile del Progettoborca, che spazia e sintetizza con cromia e precisione ripercorrendo le tappe e gli obbiettivi dell’associazione e dei siti aperti in questo quinquennio di attività. Ci piace l’idea di riportare le parole del curatore per non intaccare l’audacia della sua lucidità. Tutte le cose assumono senso e consenso quando la connessione e le relazioni sono coniugate con una profonda necessità di conoscenza.

Dolomiti Contemporanee interviene in siti difficili e abbandonati, dove qualcuno ci aveva provato, ci avevano provato quelli che devono provarci: la politica, il governo del territorio e l’economia. Avevano provato e avevano fallito. I nostri interventi all’oggi sono stati due siti industriali chiusi: l’ex polo chimico Montedison di Sass Muss e l’ex fabbrica di occhiali Visibilia a Taibon Agordino. Un terzo sito è una scuola distrutta da una disgrazia ora riattivata col Nuovo Spazio di Casso. Cosa era successo in questi tre siti dismessi? Erano arrivati alcuni milioni come si usa fare in Italia per restaurare i beni immobili, e gli immobili erano stati restaurati, ma erano rimasti immobili. La stupidità del concetto di restauro: un progetto di riuso va pensato prima di mettere i soldi per il recupero di un bene, perché se non si è supportati da idee, invece di fare un’operazione di intelligenza restaurando il bene, si fa una operazione di stupidità, si buttano i soldi in un obitorio. I siti erano rimasti un obitorio, avevano preso milioni, i nostri, i vostri, ma tutto questo non era servito a nulla perché continuavano a giacere inerti.

Le modalità del nostro intervento in questi siti è stata la stessa che adesso proviamo a fare anche qui a Borca. Il caso di Sass Muss in particolare è stato un’impresa: mettere insieme le varie proprietà, i fallimenti e le confusioni che c’erano. Per i nostri interventi costruiamo una rete di sostegno: attivando la nostra azione che muove più di cento partner all’interno dei siti. E per noi i partner sono il territorio: le regioni, le province, gli enti territoriali, le comunità a tutti i livelli di socialità. E poi dei grandi partner che vengono dall’esterno. Nel territorio non devi lavorare senza il territorio stesso, ma non basta: devi portare altri sguardi, altre persone. Queste persone possono essere gli investitori di un domani, del nostro domani, o possono essere gli uomini che pensano e rigenerano il sito oggi, come gli artisti. Gli artisti sono persone importanti, come tutti noi, ma gli artisti hanno delle attitudini rigenerative. Il lavoro di un artista non è mai, almeno nel nostro progetto, un’opera decorativa. E’ sempre un pensiero tradotto in forma che serve a chiarire il ragionamento di base, che è compatibile tra noi e gli artisti. Il ragionamento è che bisogna aprire ciò che è chiuso. Se una cosa che vale è chiusa va rimossa questa inerzia stupida.

Abbiamo continuato su questa strada. Dal 2012 gestiamo uno spazio nell’area del Vajont, tutti sapete cos’è, un’area terribile oggi più che nel ’63, quando c’è stata una tremenda tragedia, che ha portato la morte a duemila persone. Io sostengo che la tragedia non sia solo quella, ma è anche oggi perché la terribile cosa che è successa ha fermato tutto, ha paralizzato la storia. L’uomo non è più stato in grado di reagire di fronte a questa enormità. E lì si è fermato tutto. Se andate nel Vajont oggi è il 10 ottobre del ’63. Non per tutti, ma per la maggior parte delle persone e delle cose. Quello è un paesaggio della tragedia. Lì siamo arrivati a portare la nostra idea di rigenerazione. Perché secondo noi l’arte serve nei posti complicati, non all’interno di un museo dove la gente qualche volta si trascina la domenica se non c’è una partita di calcio in televisione. Quando siamo arrivati nel Vajont, ma ogni volta che arriviamo in un posto come questo, in un posto chiuso, anche solo per la collocazione, qualcuno ci dice “Che diavolo volete?”, “Cosa c’entra l’arte in un contesto della crisi?”. Ma l’arte c’entra solo in un contesto di crisi, perché è un sistema per rimettere in moto le cose e il ragionamento sull’essenza delle cose. Serve a questo. Quindi l’arte serve al Vajont. Forse non serve in un museo come struttura che tiene ferme le cose, spesso i musei sono mausolei. Noi crediamo che la colonia non sia nè un museo nè un mausoleo, ma che sia uno straordinario pezzo di questa straordinaria storia che Enrico Mattei costruì negli anni cinquanta con Edoardo Gellner. L’architettura di questo sito per anni si è distinta a livello italiano ed europeo come un caso unico e pionieristico che mette insieme una visione innovativa con il welfare aziendale. Il Villaggio era il biglietto da visita di Enrico Mattei, un uomo potente che trattava coi capi di stato di mezzo mondo. L’architettura spettacolare di Gellner reinventa l’architettura di montagna: non vedrete architettura, ma un sistema di impianti. Aggiungo impianti del paesaggio. La colonia che da 65 anni è qui e sembra fatta ieri, è intatta: un tempo alcuni costruivano così!, mentre oggi, anche se si fanno le ville in classe A,… vedremo tra 65 anni come resisteranno. Qui mancano gli allacci, la colonia è chiusa da molti anni, ma è intatta, perché è stata costruita da un grande innovatore che ha inventato un nuovo modo di usare il cemento, il legno e tanti altri materiali: una nuova sintassi dell’architettura di montagna.

Oltre all’architettura di Gellner vedrete il Progettoborca, una piattaforma di rigenerazione che considera l’arte e la cultura utili e non elementi decorativi, non roba per chi non sa far di conto.

Noi sappiamo molto far di conto. Tanto è vero che quelle fabbriche di cui vi parlavo prima le abbiamo rigenerate noi, non l’economia, non la politica, non stava a loro e non ci sono riusciti. Stava a noi, secondo me, e ci siamo riusciti.

In che modo: per tre-quattro mesi abbiamo utilizzato il sito di una fabbrica per le nostre attività con gli artisti e con gli uomini della cultura. Quando siamo usciti, la fabbrica, che stava inerte da decenni, è stata subito affittata, perché siamo riusciti a dare impulsi concreti, perché oltre e accanto al lavorare con la cultura, agiamo anche sugli assetti strategici. Cerchiamo la gente che ha qualcosa nel cranio, (non tutti ce l’hanno!, per esempio i giornalisti che in questi giorni scrivono “montagna assassina” non ce l’hanno!!). Cerchiamo persone con idee, ci interessano persone che possono parlare, scrivere e dare rilievo alla nostra comunicazione, che già funziona a livello nazionale. E poi ci sono persone che possono venire a vedere e ragionare con noi su cosa sia possibile fare qui dentro. Qui dentro si possono fare moltissime cose: abbiamo moltissime idee, ma seguiamo solo quelle che hanno un principio di realtà, che sono concretizzabili. Non posso dirvi cosa sarà la colonia tra un anno, due anni, ma forse fra dieci anni saremo ancora qui. Non lo sapevamo neanche nelle altre realtà che abbiamo preso in mano, ma sapevamo dove volevamo andare. Andando al Vajon sapevamo che non si andava a fare una passeggiata artistica-culturale, ma che si andava in un luogo gravissimo, delicatissimo, con un’idea altissima dell’arte che serve lì. Siamo stati attaccati, siamo stati messi in difficoltà da un clan egemone di cui non faccio il nome per non fargli pubblicità, gente locale che pensava che non dovesse arrivare nessuno che avesse una visione d’apertura. Ma se non arrivano uomini che hanno visioni d’apertura il mondo si ferma. La scuola elementare di Casso, che fu danneggiata dalla grande onda d’acqua alta più di duecento metri che risalì quando venne giù il monte Toc e che colpì l’edificio scoperchiandolo, rimase chiusa per 49 anni: Dolomiti Contemporanee l’ha riaperta nel 2012. Ora è un laboratorio d’arte visiva permanente, Centro per la Cultura Contemporanea della Montagna, dove non facciamo circolare le voci inutili. Questo spazio totalmente restaurato [da un intervento precedente che non aveva centrato il riuso] ha una grande passerella metallica che si slancia verso il monte Toc, che guarda in faccia la frana, la tragedia. Domani 7 agosto faremo un concerto che non sarà una sinfonia funebre, perché il Vajont è impestato di guardiani del cimitero: lì servono uomini vivi, altrimenti ogni giorno seppelliamo anche gli uomini vivi. Questo è il motivo per cui siamo là, vivi tra i vivi.

Qui a Borca per fortuna allora venne Mattei con Gellner, degli uomini con delle visioni. Qui il mondo fece un balzo in avanti. Qui l’italia fece un balzo avanti, qui lavorarono molte delle più grandi aziende dell’Italia del dopoguerra: Pirelli, Fantoni, Lanerossi, Krupp aiutarono Mattei a costruire questo corpo strabiliante che da un anno a questa parte non è più fermo.

Nel villaggio c’è una residenza per artisti, ospitati in alcune ville originali di Gellner e nel campeggio. La residenza accoglie artisti: ottanta dall’anno scorso a oggi. Da agosto a ottobre ne accoglierà altri 50. Alcuni li vedrete al lavoro durante la visita. Come dicevo prima gli artisti sono la principale tecnica per dichiarare che questo posto è vivo e aspetta solo persone con qualcosa nel cranio, con la voglia e il tempo di dedicarsi a questa operazione complessa.

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una delle 274 villette unifamiliari

Riportiamo la risposta a una domanda di una signora fra il pubblico che dà l’occasione di far emergere altri importanti aspetti della filosofia di fondo che da forza a questo progetto: “Ma allora questo é un Rinascimento senza soldi?”

Perché dici senza soldi? I soldi sono una specie di sogno, sono per la gente astratta, non servono a niente, servono le idee. L’arte è per la gente concreta, le idee sono le uniche cose concrete che ci sono sulla terra . Con le idee trovi i soldi, se hai i soldi prima di avere le idee non farai niente. E’ pieno il mondo di gente che è piena di soldi e niente idee… Il nostro progetto costa 500mila euro all’anno e noi non li abbiamo. Per questo siamo interessanti. Si fanno tesi di laurea in economia su Dolomiti Contemporanee: “Ma come diavolo fanno?”… la nostra risposta: muovendo le rotelline. Per esempio il 13 agosto avremo a Forni di Sopra un talk, una giornata di studi a cui vi invito. Avremo Giannola Nonnino, la matriarca della grappa Nonnino, uno dei nostri 300 partner, e Pierluigi Sacco, l’uomo più importante oggi in Italia nell’ambito dell’economia culturale e del marketing culturale. Poi Sacco verrà a Borca il 16 agosto a fare un Djset: spesso gli uomini di scienza, oltre alle competenze specifiche, fanno cose strane come la musica cosmica, tecno e astrale (si terrà sul palco della tana dell’orso). Ancora un esempio di risorse umane e costi: Greta e Francesca le volontarie che vi accompagneranno non sono pagate. La cultura paga da se, remunera attraverso l’azione che si fa se questa è efficace.

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Prima delle immagini alcuni dati sul luogo e l’impianto architettonico del Villaggio. Alcuni dati per accompagnare la visionarietà per chi intenda visitare questo sito extra-ordinario.

Il villaggio Eni voluto da Enrico Mattei e progettato da Edoardo Gellner è un luogo a interesse elevatissimo già di per se stesso come esempio architettonico. Oggi la proprietà è del gruppo Minoter-Cualbu.

Tra il 1958 e il 1959 vengono edificati 100.000 metricubi di cemento e legno su una superfice di 100 ettari a 1200 metri sul mare e proprio sulle pendici dell’Antelao, che è alto 3264 metri. Difronte, dall’altra parte della vallata, i 3168 metri del Pelmo. Si visita la colonia che consiste di 30.000 metri quadrati percorribili senza incontrare un solo gradino e che ospitavano contemporaneamente 600 bambini Einiani in turni di 20 giorni. L’aula magna e la chiesa (qui la collaborazione di Carlo Scarpa impazzisce gli appassionati!!!) sono i due edifici più alti e spaziali. Sulle pendici 263 villette unifamiliari seguono due strade di tornanti. E ancora due alberghi all’oggi attivi e un campeggio a tende fisse capace di 234 posti letto. Una perla: la gabbia dell’orso, luogo ricreativo per gli ospiti del villaggio, oggi perfetto palco all’aperto per concerti e talk del Progettoborca.

Le ditte coinvolte nella realizzazione del villaggio: Pirelli, Fantoni, Flos, Lanerossi, Krupp, Richard Ginori. I dettagli degli arredi e delle forniture sono tutti tatuati con il cane a sei zampe. Sei i colori usati: giallo, ocra, azzurro, rosso, arancio e nero. A questi colori si aggiunge il legno e il cemento dentro e fuori in un incontro tecnico ed estetico impressionante per l’epoca. La qualità del design e dei materiali ha una sola e semplice dimostrazione: tutto intatto e originale a 65 anni dalla messa in opera, oltre all’abbandono dal 1992 per quanto riguarda la colonia. E tanti vetri rotti costati 30.000 euro di sostituzioni, ma solo dopo un’operazione di bonifica sociale dei comportamenti vandalici, operazione prevista da Dolomiti Contemporanee nella filosofia di intervento sul territorio.

Le credenziali dei precedenti progetti firmati Dolomiti Contemporanee nelle dolomiti bellunesi SPAZIDC nasce nel 2011 e riattiva due poli industriali abbandonati da anni, nel 2011 l’ex polo chimico Montedison di Sass Muss (Sospirolo) e nel 2012 l’ex fabbrica di occhiali Visibilia a Taibon agordino. A settembre 2012 viene riattivato il Nuovo Spazio di Casso, Centro per la Cultura Contemporanea della Montagna NUOVOSPAZIOCASSOLe mostre d’arte allestite ESPOSIZIONIIl Concorso Artistico Internazionale Two Calls for Vajont TWOCALLS. Il Progettoborca, Cantiere del Paesaggio Contemporaneo PROGETTOBORCA. Visite alla colonia tutti i giovedì.

Gli artisti in residenza a Borca sono stati fin’ora 80, mentre è previsto entro fine anno un’altro nutrito gruppo di altri 50. Alcuni nomi: Marta Allegri, Simone Cametti, Marco Andrighetto, Chiara Bergamo, Elisa Bertaglia, Gino Blanc, Stefano Cagol, Stefano Cerio, Fabiano De Martin Topranin, Gola Hundun, Jeremy Laffon, Stefano Moras, Sandra Hauser, Kai-Uwe Shulte-Bunert, Luca Sirok, Begoña Zubero Apodaca, nel sito del progetto gli altri nomi.

Il nuovo house organ in cui si raccontano gli sviluppi del Progettoborca è al suo n.1: La Testata, sottotitolo Foglio periodico a diffusione entropica che si occupa di arrampicata celebrale e giardinaggio culturale dei paesaggi verticali.

Alberto Balletti e Marina Guarneri

benvenuti
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142la chiesa di Nostra Signora del Cadore, progetto Gellner/Scarpa 1956156
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