UNGROUND: MATERIALE ROTABILE 20_racconti_brevi_2003

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11.

Davanti a me, frammezzata da una specie di tavolino retrattile monozampa, una gamba mi appare monca del suo corpo, mentre dondola a alta frequenza con innestato un piede flaccido e non reattivo, come un morto che si muova perché sbatacchiato dai sussulti inconsulti del carro che lo trasporta.

Alzo lo sguardo e una testa rasata di quelle poche strisce di pelo residuo, luccica dove già è stata abbandonata dai capelli. Approssimativamente vicino ad uno squarcio, che parrebbe avere le funzioni metaboliche di una bocca con cui alimentarsi, un pizzo asimmetrico ossigenato in bianco-giallognolo, lo orna di peli ispidi. Poco più sopra due pertugi ricordano la presenza di bulbi oculari. Insomma mi trovo difronte un essere che lombrosianamente dà pregiudizio.

Come se non bastasse l’anatomia, la tecnica può innestare sue obbrobriose protesi, laddove la natura ha già esuberato se stessa: sulle protuberanze cartilaginee dei lobi auricolari sono incistate due cuffie avveniristiche infilate in un lettore CD., sparato al suo volume più alto, insopportabile già dall’esterno. Tutto questo innervosisce alquanto la mia usuale capacità di condivisione di spazio, acquisita in tante ore-vita spese nella “comune in viaggio” sulle rotaie di Trenitalia. Ciò che più mi addolora è che il libro “Ai confini del corpo” rallenta nel suo dispiegarmi concetti utili alla comprensione del diverso, l’altro da me, che in questo momento invece eliminerei dalla faccia della terra.

Sono alle ultime pagine, intensità progressiva ora interrotta da continui strappi di paranoie di un essere alieno che non sa contenere il suo stress, e manifestatamente mi aggiorna sul suo incontenibile status tensionale.

Non voglio mollare le righe, anche se lo spiaccicarmi il libro aperto a cinque centimetri dalla faccia, a coprire tutto il mio campo visivo, non basta ad occultarmi un residuo ai suoi margini, quell’ombra del piede morto che ondeggia nella mia retina destra il suo insulso riflesso.

Suona il suo cellulare, suoneria impostata su “O sole mio”, e suona per qualche decina di secondi, visto che le cuffie ottundono il ragazzo. La comunicazione accentata in avellinese, mi concentra ancor di più su quella gamba che esce monca dalla pagina del mio libro, vibrando il mio odio che potrebbe chirurgicamente intervenire a sedarla con violente percosse. L’odio nasce in noi da files spesso ignoti al nostro cervello.

Vado al bagno, per evitare ulteriore surriscaldamento. Torno e il mio quotidiano, che avevo appoggiato sul libro, è scomparso. Ad alta voce e inconsapevolmente guardando in faccia il giovane delle orecchie a cuffia, dico che essendo le dieci di sera, al primo che avessi trovato lungo gli scompartimenti a leggere le prime pagine dello stesso giornale, glielo avrei strappato, e così feci: “Scusi l’azzardo, ma questo quotidiano l’ha trovato nella carrozza più su?” La fidanzata del tale gli molla uno schiaffo e dice “Che figura di m., l’hai rubato!……..”

Tornato al mio posto sono costretto a relazionare sul ritrovamento della refurtiva aprendo un colloquio con l’odiato possessore di una gamba tanto nevrotica quanto morta: il pelato!!

Scopro che è laureato in Scienze della Comunicazione, lettore appassionato di autori a me cari, Ballard, Dick, Rella e Bataille, conosce tutti i frames di Apocalypse Now e sul racconto Cuore di tenebra ci appassionano in un incontro che pare tardivamente fulmineo.

Ma il residuo di odio che per lui avevo immotivatamente provato dà luogo in me ad un pensiero sovrapposto, parallelo al parlare con lui: triste mi sferza dentro la visione dei mie genitori che si recano a sorvegliare P. perché non si soffochi in un colpo di sonno durante l’assenza della moglie, che deve uscire due ore a fare la spesa. La sua malattia è la più infida, corpo sano a settant’anni, mente fagocitata da un tumore al cervello, che ti mangia qualsiasi cosa tu sia stato. Lui, uno dei primi programmatori di computer già negli anni Sessanta, quando funzionavano a schede buche. Ora il suo hardware dipende dal collo che lo sostiene. Il suo tempo è scandito tra il sonno che lo coglie all’improvviso e l’ultimo saluto di chi lo va a trovare.

Io non ho ancora avuto il coraggio di presentarmi.

Il ragazzo pelato davanti a me ha di nuovo le cuffie su. La sua gamba sbatacchia il piede morto, ancora più istericamente di prima: il test che affronterà domani, per un dottorato alla Bicocca, lo stressa moltissimo. Beato lui.

Da W.G. Sebald in Austerlitz

Tutti i momenti della nostra vita mi sembrarono allora raccolti in un solo spazio, proprio come se ciò che accadrà in futuro esistesse già e aspettasse solo il nostro arrivo, così come noi, a seguito di un invito accettato in precedenza, arriviamo in una certa casa ad una certa ora. E non potremmo immaginare, proseguì Austerlitz, di avere appuntamenti anche nel passato, in ciò che è già avvenuto e in gran parte è scomparso, e di dover cercare proprio nel passato luoghi e persone che, quasi al di là del tempo, hanno con noi un rapporto?

i 20 racconti dal titolo “UNGROUND: MATERIALE ROTABILE venti_racconti_brevi_2003″
qui pubblicati fanno parte della Tesi di specializzazione discussa nel ottobre 2003
Università IUAV di Venezia – Facoltà di Design e Arti
Corso di Laurea Specialistica in Produzione e Progettazione delle Arti Visive (ClasAV)
titolo della tesi: BORDER LINE TRIP, viaggio tra letteratura e arti visive
Relatore:
Prof. Franco Rella
Correlatore:
Prof.ssa Angela Vettese